Questa frase, ricorrente come un sacro mantra negli spazi espositivi, ci ha sempre assillato. È un invito, o meglio un’imposizione, alla distanza; un’esortazione alla contemplazione passiva.
La domanda che ci poniamo da tempo è proprio questa: si può pensare ad un modo di raccontare ed esporre le opere d’arte che cerchi di muoversi in una direzione opposta? Stimolare una fruizione attiva del pubblico, proporre un’esperienza in grado di avvicinare l’opera?
Si tratta di creare punti di contatto fra l’opera di un artista e le “tendenze vitali” del contemporaneo, per sottolineare la capacita dell’arte di uscire dal tempio e dialogare con gli strumenti e le esperienze dell’oggi.
È così che nasce l’idea di Mostre in cui l’esperienza da proporre al visitatore diventi metodo progettuale e obiettivo concettuale. Un’esperienza intesa prima di tutto come partecipazione attiva e coinvolgimento emotivo multisensoriale, in cui al visitatore viene richiesto di abbandonare lo spirito contemplativo per disporsi ad una ricerca attiva e ad una scoperta sperimentale.
Dove emblematico diventi non l’imperativo negativo e distanziatore “non toccare”, ma un invito positivo ad avvicinarsi (get closer) e ad interagire.
Un’esperienza che non si limita allo spazio fisico della Mostra, ma che potrà allargarsi e superare i ‘confini del tempio’, nella convinzione che un luogo espositivo debba essere il punto focale di un percorso più ampio, che da una parte si espande verso forme di realtà oggi disponibili (la rete, la realtà aumentata e virtuale) e che dall’altra parte coinvolga il territorio, perché i Musei non siano più fatti solo di muri, ma si espandano uscendo dalle porte, nelle strade, nelle piazze.
Claudio Mazzanti